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mercoledì 28 dicembre 2011

Il gigante guerrafondaio


La Cambogia, il Vietnam, l’Iraq, l’Afganistan stermini di popolazioni inermi, armi di distruzione di massa… un drago contro formiche, è questa la vergognosa realtà delle guerre americane, una logica guerrafondaia utile solo a camuffare gli interessi delle multinazionali del petrolio e delle armi.

Il poliziotto del mondo si fa chiamare, ma possiede una sorta di logica del kamikaze, che per proteggere persone a essi vicine stermina quelle lontane, ma in modo ancor più folle poiché ciò avviene non per la vita delle persone vicine ma per la loro ingordigia.

Il gigante americano come un drago, che va in giro per il mondo lanciando dalle sue fauci vampate di fuoco al fosforo bianco, bruciacchiando umani a destra e a manca pur di mantenere intatto il proprio ridondante consumistico benessere.

Avanti il prossimo!

da: "I burattini di Dio - La paura del nulla" - Mazzani Maurizio - ed: Gruppo Albatros Il Filo, Roma 2010

venerdì 29 aprile 2011

Il dolore


Se ci trovassimo in circostanze ambientali carenti, che per differenti ragioni non esista la possibilità di soddisfare il naturale bisogno di cibo, inevitabilmente verrebbe meno la propria coerenza organica, il nostro corpo vivrebbe inevitabilmente l’assenza: la mancanza di sostanze bio-chimiche essenziali alla vita.
Di risposta il nostro comportamento, disperatamente, si mobilizzerebbe al fine di ripristinare i valori di coerenza organica, altrimenti sarebbe sofferenza.

In ambito psicologico, il disquilibrio tra il di dentro e il dentro rappresentativo del fuori, minando l’efficienza psicofisica utile al mantenimento della prioritaria coerenza organica prima e del proprio senso nel mondo poi, lo stesso è sofferenza.

Metaforicamente immaginate di avere avanti ai vostri occhi la figura del vostro corpo, il di dentro, la propria coerenza psicologica, i valori di senso personale, e che davanti ci sia uno specchio, il dentro rappresentativo del fuori cioè la realtà che percepiamo dall’esperienza confermante o disconfermante la coerenza, la personale percezione di senso.
La differenza tra questi due aspetti della stessa realtà è dolore, noi soffriamo in proporzione all’entità percepita di differenza che registriamo osservandoci allo specchio.
Se l’esperienza ripetutamente confuta il proprio essere nel mondo, se nell’immagine riflessa rileviamo mancanza di tessere concettuali di senso personale, l’assenza di queste è dolore, viviamo il lutto.
Più il rappresentativo del fuori si discosta dalla coerenza d’immagine di sé più c’è sofferenza, e più è evidente il senso radicato sull’avere.

La nostra condotta, difatti, è sempre volta a mantenere l’equilibrio come per l’organico.

Le abilità processuali della mente, le strategie di problem-solving, il comportamento e in extremis anche la malattia mentale, hanno proprio il fine di ripristinare le tessere perdute, cioè la coerenza di sé.

Quando il senso personale si affievolisce, quando le tessere concettuali mancanti diventano eccessive, la loro assenza si traduce nel sentimento di vuoto interiore, noi, di fatto, ci siamo di meno, il nostro essere nel mondo è percepito in misura inferiore, la nostra capacità di cogliere senso si è inevitabilmente ridotta, la depressione che ne risulta è conseguente all’assenza, e il vuoto interiore che la caratterizza è proprio dovuto alla mancanza elevata di tessere concettuali, di significati personali.

Quando la realtà è talmente avversa da confutare ripetutamente dati di senso personale, risulta che il grande puzzle dell’immagine di sé è così fortemente amputato, che qualsiasi azione finalizzata a reintegrarlo è spesso vana, la capacità d’agire nel mondo è evaporata assieme alle tessere... c’è disorientamento.
L’inefficacia a ristabilire la coerenza originaria è così forte, da indurre talora a ricorrere alla patologia psichiatrica pur di reintegrare illusoriamente la propria immagine, talvolta in casi estremi, proprio inventando di bell’appunto una preconfezionata realtà… siamo al delirio il cui contenuto è inventato ad oc’ per ripristinare attraverso esso la coerenza perduta, il senso perduto.

L’ansia e l’angoscia, di fronte al possibile nulla, apparentemente svaniscono lasciando un distacco, più o meno marcato, dalla realtà.
La reciprocità con il mondo è fittizia e artificiosa.

La coerenza è senso di sé percepito, la scarsa integrazione (il senso di sè deve essere unitario e costante nel tempo) e differenzazione (la quantità e la qualità dei costrutti, schemi e concetti, che costituiscono l'insieme di valori che ci rappresentano, deve essere il più articolato possibile) delle idee che la compongono comportano una maggiore vulnerabilità alla patologia psichica dalla più semplice alla più complessa, la sua completa dissoluzione è il nulla!

Mazzani Maurizio



La definizione di sé

Aspetto che la realtà cambi, pongo la mia attenzione la dove le cose, le rappresentazioni non ci sono, sono circondato e invaso d'assenza, non mi accorgo di ciò che sono e che ho.

Istintivamente la mia attenzione si volge su ciò che non c'è-- una risposta adattiva per indurci a fare qualcosa per ottenere ciò che ci manca-- ma spesso accade che alcuni meccanismi selezionati minuziosamente dall'evoluzione si ipertrofizzino, trasformandosi, paradossalmente, da adattivi in disadattivi: un'ansia che attivandosi troppo, si trasforma, da utile informazione, in un qualcosa di paralizzante, un evitamento occasionale utile all'adattamento, che divenendo abitudinario, si trasforma, costituendosi, nel tempo, quale unica risposta disponibile alle perturbazione ambientali troppo forti per tale organizzazione mentale, in disadattivo.

Porre esageratamente e ossessivamente l'attenzione su ciò che ci manca, è la risposta ipertrofica di un meccanismo adattivo finalizzato a rendere la persona attenta all'assenza che relativamente la distingue, che muta in disadattivo. Tale azione, costituendosi con la patologica attenzione su ciò che non c'è, di fatto, fa si che l'individuo che ne è caratterizzato viva una sorta di perenne assenza.


Egli, dunque, avendo l'attenzione sempre coartata su ciò che non gli piace di sè o su ciò che non ha, è, pertanto, costretto a vivere la sensazione di vuoto che è perdita di ciò che egli è... una sorta di perdita di se stesso, proprio, dovuta all'ostinata e circoscritta attenzione patologicamente orientata là dove egli non c'è.

E' importante, fondamentalmente sano, dunque, riconquistare il dominio sulla propria attenzione, cercando di spostarla su ciò che si è e si ha, contrastando, così, l'atteggiamento coattivo che ci fissa sulla presunta assenza. Una volontaria azione questa, volta a contrastare l'inerzia patologica, che automaticamente conduce la nostra attenzione su ciò che vorremmo avere o essere, impedendoci, così, di godere di ciò che abbiamo e siamo.

Riguadagnare il proprio esistere annullato, sminuito dalla "svista attentiva" coartata dall'assenza, significa accettarsi nei propri limiti (l'assenza), e capire che la dimensiome umana è proprio la sua definizione, e definizione significa rappresentazioni di sè costituite non da "
tutto" ma solo dalla "parte"
e, quindi, da qualità circoscritte... di fatto, la nostra ragion d'essere è costituita dai nostri limiti o confini che contengono, proprio, le nostre qualità che non sono altro ciò che si è. Spostare l'attenzione su ciò che si è e si ha, è azione fondamentale per percepirsi e accorgersi del proprio senso e significato. La coercizione attentiva su ciò che non abbiamo (oggetti, qualità, caratteristiche rappresentative personali, ecc), dunque, non può che produrre ansia e angoscia per la perdita conseguente di sé.

Il punto è proprio questo, un tale atteggiamento mentale è disadattivo, disfunzionale e psicopatologico in quanto, impedendo alla persona di percepire ciò che è e che ha, crea, inevitabilmente, senso di vuoto e mancanza di sé. Tale sensazione costituendo una sorta di "diminuzione di percezione di sé", immancabilmente annebbia, inoltre, la lucidità nonché l'efficacia, dell'individuo, ad elaborare eventuali soluzioni finalizzate a colmare, costruttivamente, l'assenza stessa che lo caratterizza.


Il senso di vuoto è tale da paralizzarlo su posizioni d'assenza, che lo coartano a non accorgersi, dunque, di ciò che ha e, soprattutto, di ciò che è... quale unica realtà d'esistenza!

Maurizio Mazzani

Il palcoscenico


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L’uomo cerca disperatamente di dare significato alla propria esistenza, la magia, il mito, la religione, la metafisica, poi infine la scienza, hanno dato l’illusione di spiegare il senso del tutto.

Ma il non senso è eternamente in agguato, sempre pronto ad andare in scena, ad apparire da dietro le quinte, non c’è finzione, la cruda realtà del nulla è avanti e dietro il palcoscenico, ma è il palcoscenico, e lo spettatore, è solo fantasia!

Mazzani Maurizio
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